
Il freddo, la sfiducia e un husky troppo tranquillo

Cosa c’è di più innocente di un husky che trotta tra i ghiacci dell’Antartide? Qualcosa di molto meno innocente, a quanto pare. Il film si apre con i russi che inseguono il cane armati e disperati. Sembra la scena tagliata di un documentario impazzito, ma no: siamo davanti all’inizio di uno dei più grandi horror di sempre.
E se non l’hai ancora capito: il cane è il problema.
Alieno? Sì, ma niente telefonate a casa
Siamo nel 1982, lo stesso anno in cui E.T. conquista il cuore di tutti con il suo ditino luminoso e le lacrime facili. Ma John Carpenter non ci sta. Il suo alieno non vuole fare amicizia, né piantare piante in vaso. Vuole solo sopravvivere. E per farlo ti copia, ti sostituisce e poi ti guarda negli occhi con la tua stessa faccia.
Un alieno mutaforma intrappolato con un manipolo di ricercatori in una base sperduta. E basta questo per generare una tensione claustrofobica che ti si attacca addosso.
Regia al rallentatore (e meno male)
Carpenter sceglie una regia lenta, misurata, che lascia spazio al dubbio, al silenzio e allo sguardo sospettoso. Nessuna frenesia da montaggio epilettico: qui si costruisce la tensione centimetro per centimetro, come un filo che si tende senza mai spezzarsi. E quando si spezza… è per mostrare un mostro fatto di tentacoli, denti e urla che non vorresti sentire mai, nemmeno in sogno.
Effetti speciali da manuale del trauma
Rob Bottin firma gli effetti speciali pratici che sono diventati leggenda. Roba che oggi chiamerebbero “artigianato horror”. Niente computer: solo mani, lattice, fumo e tanta, tanta creatività disturbata. Ogni trasformazione è una sorpresa disturbante che ti lascia a bocca aperta, o a occhi chiusi, dipende quanto reggi.
Kurt Russell: cowboy dell’Antartide
In mezzo a tutto questo caos tentacolare, c’è lui: MacReady, interpretato da un Kurt Russell in piena forma, con cappello da cowboy, giubbotto imbottito e quella barba che sa di “ho visto cose”. È il protagonista riluttante, lo scettico disilluso, l’ultimo barlume di razionalità in un mondo che sta letteralmente andando in pezzi.
Il suo lanciafiamme? Serve per tenere lontano il mostro, certo. Ma anche – e soprattutto – per cercare di mantenere una parvenza di ordine nel delirio. È l’uomo che, pur non fidandosi più di nessuno, non cede del tutto alla disperazione. In lui c’è una resistenza quasi stoica. E mentre intorno a lui si sfaldano le identità, i corpi e la fiducia, MacReady resta lì, con la dinamite pronta e lo sguardo di chi sa che l’unica certezza è il dubbio.
La vera "cosa"? La paranoia
Ma il vero cuore del film non è il mostro. È il sospetto. Chi è ancora umano? Chi è già stato preso? Nessuno si fida più di nessuno. E in quel gelo polare, il vero freddo è quello tra le persone. The Thing è un horror psicologico travestito da film di mostri. È l’ansia che cresce mentre guardi gli altri e ti chiedi: “E se non fosse più lui?”
Sopravvivenza o invasione?
L’alieno vuole solo sopravvivere. Gli umani anche. La differenza è che uno dei due è pronto a distruggere tutto per farlo. O forse lo sono entrambi? Carpenter ci lascia con una domanda amara: in fondo, siamo davvero così diversi dalla “cosa”?