A complete Unknown

A Complete Unknown: Chalamet è Dylan, e no, non è uno scherzo

Quando hanno annunciato che Timothée Chalamet avrebbe interpretato Bob Dylan, la reazione comune è stata: “Ma che è, un musical su TikTok?”
E invece no. E invece spacca. Letteralmente. A Complete Unknown è uno di quei biopic che, tra mille tentativi mediocri, riesce davvero a raccontare qualcosa. Non solo la vita di una leggenda, ma il momento esatto in cui un artista smette di seguire il flusso e decide di riscriverlo.

Chalamet… ma chi l’avrebbe mai detto?

Diciamolo: nessuno ci credeva. Nemmeno la zia di Chalamet.
E invece eccolo lì, col capello spettinato, la voce roca che non scimmiotta ma restituisce, e soprattutto con la chitarra e fisarmonica tra le mani e in bocca senza sembrare il tipo che ha imparato due accordi da YouTube ieri sera.
Timothée si è messo sotto, ha studiato, ha cantato, ha sbagliato, ha riprovato. E sullo schermo questo lavoro si vede. In certi momenti ti scordi proprio che è Chalamet. Vedi lui, vedi Dylan. E non quello da premio Nobel. Quello giovane, impulsivo, che sta per cambiare per sempre la musica folk… e non tutti sono pronti.

La regia di A Complete Unknown? Non fa rumore. Ma va bene così.

James Mangold (già regista di Walk the Line, per dire) decide di non strafare. Nessuna invenzione visiva, niente virtuosismi da videoclip. La regia è classica, asciutta, ma funziona perché lascia spazio a chi deve parlare: la musica, le parole, le trasformazioni.
Unica vera pecca: si nota una certa prudenza narrativa quando si avvicina il tema delle droghe. Forse per non scomodare l’Academy? Forse. Ma alla fine non ne senti troppo la mancanza: il film riesce comunque a raccontare la discesa e l’ascesa emotiva di Dylan in modo efficace.

Le donne, la scena e quella svolta elettrica

Interessante anche lo spazio dato alle figure femminili che hanno gravitato intorno a Dylan. Non restano solo sullo sfondo, hanno voce, storia, presenza.
E quando arriva quel momento — la svolta elettrica — ci sei dentro. Non è solo una scena musicale, è una dichiarazione di guerra al sistema, fatta con sei corde e un amplificatore.

Colonna sonora da urlo (folk)

Sì, è ovvio, ma va detto: la musica è il film. Le canzoni originali sono usate con criterio, impatto e — strano a dirsi nel 2025 — rispetto. Non sembrano messe lì per far dire allo spettatore “ah questa la conosco!”, ma per accompagnare una narrazione che ti porta a sentire quella fame di cambiare, quel fuoco interno che Dylan stava cercando di domare (e cavalcare).

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